venerdì 23 ottobre 2009

Under The Auspices of Princess Kathrin Hohenstaufen

Tranquillamente Marche...
La pronipote di Stupormundi, medico chirurgo, dssa Kathrin von Hohenstaufen, per la lotta contro i tumori.

Sotto l'alto Patrocinio della
dottoressa Kathrin von Hohenstaufen , medico chirurgo, L'Arte in Movimento per la lotta contro i tumori a Fabriano.Eventi



I colori di "Arte in movimento" a Fabriano
26/10/09

Fabriano (Ancona) - "Un viaggio nella storia dei mestieri di un tempo tra arte, moda e bellezza. Fabriano si veste d'arte". Questo lo slogan coniata dall'artista e stilista Vittorio De Marchi a proposito di una sua manifestazione, organizzata dall’assessore al Turismo, Giovanni Balducci, in programma il 30 ottobre 2009 nella suggestiva cornice del Museo della Carta e della Filigrana.
In effetti, sarà proprio la città della carta, in questa incantevole location cornice ad ospitare una manifestazione all'insegna della cultura, dove i colori di "Arte in Movimento", la nota corrente artistica fondata dal Maestro, e un pezzo di storia della città la faranno da padrona.
Sì, di storia si parla, infatti, in un programma ricco di contenuti e di momenti importanti che vedranno la collaborazione del "Museo della bicicletta" di Fabriano, dal quale l'artista marchigiano ha preso spunto per la realizzazione del "Calendario 2010", che verrà presentato proprio in quella serata. In sintesi, alcune antiche "biciclette dei mestieri" sono state immortalate negli scatti fotografici che scandiscono i 12 mesi del prossimo anno, al fianco delle modelle selezionate nel mese scorso nel web, tra le quali anche "Miss Marche 2009", vestite delle creazioni di alta moda di De Marchi.
“I 12 scatti più interessanti” ha sottolineato Vittorio De Marchi nel corso della specifica conferenza stampa “provengono da una selezione effettuata sull'intero servizio fotografico realizzato in questi giorni negli angoli più suggestivi della città, servizio che ha creato non poca curiosità nella cittadinanza che ha potuto vedere l'intera troupe al lavoro. Tutto questo – ha rimarcato - grazie alla collaborazione nata tra il sottoscritto e Moda Oggi di Roma, con il contributo del Museo della Bicicletta e del Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano, con la collaborazione della U.I.S.P. Di Fabriano, il Patrocinio del Comune di Fabriano, del Green Princes Trust nella preziosa Persona della H.I.R.H. Principessa Yasmin von Hohenstaufen e della Fondazione Starhemberg nella preziosa Persona di S.A. La Principessa Elizangela Moreira von Starhemberg”.
Altro elemento di non secondaria importanza per la pubblicazione del calendario posto in vendita (il 31 ottobre ci sarà una gazebo in piazza del Comune per l’intero giorno) i cui proventi andranno all'AMBALT di Ancona, l’Associazione Marchigiana per la Cura e l'Assistenza ai Bambini Affetti da Leucemie e Tumori
Non finisce qui, il ricco programma della manifestazione vede anche la presentazione alla stampa ed alle televisioni, che parteciperanno in numero consistente anche dall'estero, di un volume realizzato dall'artista in serie limitata (99 copie) interamente lavorato a mano, di pregiata fattura, che De Marchi porterà in dono (personalmente, ove possibile) alle grandi personalità di svariati ambiti che più si sono distinte per l'impegno nel campo della solidarietà.
Inoltre, dal sodalizio che perdura nel tempo con l'amico e grande artista di fama internazionale Ernesto Gennaro Solferino, tra i più autorevoli dell'iper-realismo, il museo della carta vedrà l'inaugurazione della mostra con tema "La Divina Commedia".
Il Mestro Solferino, alla presenza di Francesco Fumagalli (Premio per la Letteratura - Mondadori) e dello storico Alfonso Padula, presenterà le sue opere su carta che andranno raccolte in un volume pregiato che sarà presentato presso il "Sigillo Vaticano" nel prossimo maggio.
Ad una manifestazione così importante, nel pieno stile che contraddistingue le manifestazioni di Vittorio De Marchi, hanno già dato conferma della propria partecipazione alcune tra le personalità più importanti del mondo della cultura e della politica, come pure i giornalisti di testate nazionali ed estere: Brasile, Germania tra le altre. Inoltre, la città di Fabriano e la serata sarà oggetto di un servizio realizzato dalla televisione e stampa nazionale brasiliana.



Redazione Anconainforma.it









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Teatro Rebis presenta

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Sabato 24 Ottobre, h 10.00
Teatro Rebis - Macerata
Da Venerdì a Domenico: il viaggio di Robinson Crusoe
Di e con Lorenzo Pennacchietti

Regia Andrea Fazzini

Progetto intercultura per Istituto d'Arte di Macerata




Borgo Peranzoni, 113
www.teatrorebis.org

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Sabato 31 Ottobre
Teatro Rebis - Macerata

h 10.00
Da Venerdì a Domenico: il viaggio di Robinson Crusoe
Di e con Lorenzo Pennacchietti
Regia Andrea Fazzini
Progetto intercultura per Liceo Scientifico G.Galilei di Macerata


h 21.00
Da Venerdì a Domenico: il viaggio di Robinson Crusoe

Di e con Lorenzo Pennacchietti

Regia Andrea Fazzini

Viva Festival 09
a seguire incontro con l’antropologa Barbara Sorgoni sui temi della colonizzazione e dell’integrazione



Borgo Peranzoni, 113
www.teatrorebis.org

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Saremo lieti di avervi con noi.


Per qualsiasi informazione o chiarimento

CONTATTI

TEATRO REBIS
B.go Peranzoni, 113 - Macerata (MC)
tel/fax 0733.493315
www.teatrorebis.org
rebis.info@email.it
Organizz.ne Silvia Castellani
silviamacerata@hotmail.it
skype silviacastellani77


P Per favore considera l’ambiente. Devi davvero stampare questa mail?



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Princess Kathrin discendente di Federico II e Gengis Khan




La Falconeria presso Gengis Khan e Federico II
La principessa Kathrin von Hohenstaufen,dinastia Avril de Buren Khan Buren Anjou Yussupov e dei Khanati di Morea (Puoti) discendente di Federico II ed Isabella d'Inghilterra, e' Sovrana dell'Orda D'oro ,in virtù dellasua discendenza da Gengis Khan per triplice prosapia.IlTermine Khan, come conferma anche la studiosa Brunelli,significa Forte, Potente,epitome di Oceano (Poto da cui i Puoti ). Profondi legami esitono tra la cultura federiciana e quella di Gengis Khan, che fu cultore della Pace e fratellanza tra i Popoli,ed iniziato ai misteri dell'invisibile attraverso tradizione dei Buriati e Scaiamani. Secondo Tacito infatti gli Svevi avevano la medesima tradizione dei Buriati,ceppo sarmatico insubrico longobardo,tra cui ilculto del Grifone che fu l'avito totem degli Hohenstaufen o Buren
> - I CHING (YI JING)

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Data: 04/06/2009
La presa di potere dei Mongoli in Cina: Gengis Khan e la formazione della dinastia Yuan
di Caterina Brunelli

PRIMA PARTE


Dopo aver devastato il regno dei Jin (1234), i Mongoli si diressero verso ovest e sud–ovest. Nel 1276 Hangzhou cadeva definitivamente sotto i colpi inferti dalla nuova potenza, e tre anni più tardi la dinastia dei Song Meridionali (1127-1279) cessò definitivamente di esistere: Qubilai Khan (1215–1294) aveva sottomesso la corte cinese fondando la nuova dinastia Yuan (1279–1368).



La comparsa dei Mongoli



Le conoscenze che abbiamo riguardo la prima storia dei Mongoli sono piuttosto frammentarie e lacunose, perlomeno fino all’epoca di Gengis Khan (1167–1227)[1].

I dati disponibili attestano che a seguito della sconfitta del regno di Liao (907-1125) da parte dei Jurchen, nei territori compresi tra il deserto del Gobi e la Mongolia si diffuse una sorta di “pacifica anarchia”[2], in conseguenza del frazionamento territoriale e della mancanza di un potere centrale formalmente istituito.

I Mongoli propriamente detti risiedevano allora nella Mongolia nord–orientale, nei pressi del fiume Kerulen; la loro origine va fatta probabilmente risalire alla popolazione degli Shiwei[3], anche se diversi studiosi hanno mostrato pareri contrastanti considerandoli discendenti diretti dei Xiongnu o dei turchi Tujue[4].

Stando a quanto riportato dalle cronache ufficiali cinesi, in epoca Tang (618-907) vi erano più di nove tribù denominate Shiwei che risiedevano nei territori della Cina nord–orientale, tanto che la corte imperiale istituì un Comando apposito con il compito di controllare queste popolazioni. Tra il VI e l’VIII secolo, poi, le prime tribù mongole caddero progressivamente sotto la sovranità di turchi ed uiguri; nella fase immediatamente successiva i Menggu Shiwei iniziarono i loro movimenti di espansione dall’ansa dell’Amur verso occidente: seguendo il corso del fiume Erguna percorsero le steppe dell’Hulun Nur stabilendosi infine lungo le rive dei fiumi Onon e Kerulen e dando origine ad una civiltà nomade di tipo pastorale.

A partire dal X secolo questa ed altre popolazioni vennero poi raggruppate sotto il controllo della dinastia Liao.

Nei secoli XI e XII l’altopiano mongolo ospitava diverse confederazioni – a fianco ed in contrasto con i Mongoli – quali i Tatar, i Merkit, i Kerait, i Naiman e gli Onggut[5]: fu in questo clima di precarietà ed instabilità sociale che emerse la figura carismatica di Gengis Khan, il più grande conquistatore di tutti i tempi.


Gengis Khan e l’Impero



Temujin (o Temujen), il futuro Gengis Khan, nacque nell’anno 1167 a Deligun–Boldak, alle sorgenti del fiume Onon, presso i monti Kentei non lontani dall’odierna capitale mongola Ulaanbaatar (Ulan Bator).





Suo padre, il nobile Yesugei del clan dei Borjigin, aveva riunito attorno a sé un considerevole gruppo di tribù rimaste senza guida, ed era stato riconosciuto capo supremo da alcuni principi di sangue reale riuscendo a creare una prima, considerevole potenza mongola.
Sposato ad una donna di nome Ho’elun, sottratta ad un capo della tribù dei Merkit,[6] ebbe da lei quattro figli maschi ed una femmina; altri due discendenti gli furono dati da concubine.

Nell’anno 1167 Yesugei era impegnato in una guerra contro i Tatar, nel corso della quale riuscì a catturare il capo nemico Temujin, battezzando poi il neonato che nacque di lì a poco con lo stesso nome[7].

Nove anni dopo, pensò di consolidare l’alleanza stipulata col Khan Töngril dei Kerait per mezzo di un’alleanza matrimoniale che prevedeva l’unione di Temujin con la figlia del capo Konggirat, Börte. Nel corso del viaggio intrapreso per condurre suo figlio in territorio Kerait, Yesugei venne inaspettatamente avvelenato dai Tatar, non dimentichi delle numerose sconfitte inflitte loro negli anni precedenti: grazie alla robusta costituzione, riuscì a ritornare nelle proprie terre, dove morì avendo però messo in salvo Temujin.

Tre anni più tardi quest’ultimo perse anche la madre e venne messo al bando dei membri del suo stesso clan, che non volevano riconoscerlo come capo a causa della debolezza fisica che lo differenziava notevolmente dal padre. Iniziarono così anni di stenti e povertà, durante i quali Temujin poté contare soltanto sull’appoggio di pochi, fidati compagni che lo videro diventare un guerriero completamente formato, sano e robusto, da cui emanava un forte carisma[8].



A seguito del matrimonio con Börte Temujin poté avvalersi della forza d’urto dei guerrieri Kerait, che accrebbe enormemente la sua potenza per cui gli venne accordata la protezione dello stesso Töngril, Khan dei Kerait già alleato di Yesugei[9]. Poco tempo dopo Börte venne rapita dai Merkit, per vendicare l’affronto subito al momento del ratto di Ho’elun, e donata ad un capo locale: Temujin, appoggiato dai Kerait e dal capo mongolo Jamuka[10], reagì distruggendo i Merkit e riportando a casa la propria sposa.





La sua ascesa era ormai inarrestabile e per questo i Mongoli, che non erano riusciti a darsi un assetto unitario sotto un capo supremo, lo elessero tale col nome di Gengis Khan (o Čingiz Khan), titolo che lo configurava come “Khan–Oceano”, sovrano universale[11]. In questa stessa occasione egli scelse il proprio vessillo, un’asta dalla quale pendevano nove (numero dalla simbologia magica) code di yak bianchi[12].

Dopo l’elezione, Gengis Khan mantenne le vecchie alleanze, come quella con i Kerait, sottomise definitivamente i Tatar con l’aiuto dei Jurchen superstiti, e conquistò l’assoluta egemonia tra i popoli nomadi grazie anche alla coesione interna di cui godevano i suoi Mongoli[13].

Nonostante tutto il suo crescente prestigio finì per inimicargli una parte dell’aristocrazia nobile, che ben presto gli contrappose Jamuka, rivoluzionario che agiva esclusivamente nell’interesse del popolo[14] e che era intervenuto a fianco di Temujin perché vedeva in lui un ribelle, un oppresso, vittima di una sorte immeritata.

Appoggiato dai Kerait di Töngril, Jamuka riuscì a danneggiare sensibilmente il potere organizzato di Gengis Khan che fu costretto a riparare a nord, da dove scagliò una controffensiva che portò allo sterminio dei Kerait e alla cattura del loro Khan, poi giustiziato; Jamuka riuscì a fuggire, diventando un oppositore implacabile di colui che era stato suo “fratello di sangue”[15].

Dopo aver punito i Naiman (1204), sobillati alla rivolta dallo stesso Jamuka, Gengis Khan venne nuovamente invitato a presenziare al kuriltai (assemblea dei nobili mongoli) che gli rinnovò il mandato di comandante supremo (1206): l’unificazione dei popoli mongoli, affiancati da tribù di origine turca, era stata completata.



A seguito di questa seconda elezione furono molti gli stati che vollero confederarsi alla potenza mongola: i Turchi Uighur di Turfan, che sarebbero andati a formare le file della cancelleria del nuovo impero[16], gli Onggut, gli Oirat e i Kirghisi.

A partire dal 1209 Gengis Khan si dedicò a diverse campagne militari: cacciò i Tanguti dal Gansu, il cui sovrano riconobbe la suprema sovranità mongola, attaccò i Ningxia[17] presso la capitale Zhongxing e successivamente, essendosi assicurato una via d’accesso alla Cina settentrionale attraverso lo Shaanxi, diede l’avvio al progetto di distruzione dell’impero Jin[18] (1115-1234).

Conquistata Liaoyang (1212), le truppe gengiskhanidi giunsero alle porte di Zhongdu (nell’area dell’odierna Beijing), che non cadde grazie alla robustezza delle fortificazioni. La capitale cinese venne allora trasferita a Kaifeng, Henan: i Mongoli considerarono il cambiamento di sede come una dichiarazione di guerra e due anni più tardi attaccarono e distrussero Zhongdu. Sette anni dopo, il dominio Jin era ridotto al solo Henan e a parte dello Shanxi.

Dopo aver assorbito ciò che rimaneva dell’impero Jin (1218), la Serindia, il Kazachstan e il bacino dell’Ili erano oramai ridotti a possedimento mongolo, il cui confine correva lungo il Khwarezm dello Shah Muhammad: avendo quest’ultimo preso in ostaggio e torturato una carovana di commercianti mongoli allo scopo di estorcerne informazioni sulla tattica militare adottata dal loro capo supremo, Gengis Khan intervenne e nel 1220 riversò le proprie truppe su Bukhara, che si arrese incondizionatamente.

Dopo Bukhara fu rasa al suolo Samarcanda, mentre Balkh (ex Bactria) ed Herat vennero depredate. L’anno seguente cadde anche Nishapur[19], seguita da Bamiyan e Merv. Il principe ereditario del Khwarezm venne sconfitto presso le rive dell’Indo e riparò a Delhi.

In seguito un ramo dell’esercito gengiskhanide si diresse verso oriente dilagando nelle steppe della Russia meridionale, le cui milizie locali vennero facilmente sopraffatte (31 maggio 1222); sconfitti i Bulgari del Volga e i Turchi Kankli degli Urali le truppe si riunirono alle armate guidate da Gengis Khan, che tornava in Mongolia dopo la vittoriosa campagna d’Iran. Tutta l’Asia centrale, l’Iran orientale, la Mongolia e parte della Cina erano ora sotto il suo diretto dominio.






Il 18 agosto 1227, all’età di sessanta anni, il Khan supremo moriva per una caduta da cavallo avvenuta durante una caccia all’orso. Il suo corpo fu trasportato sul Burkan Kaldun, la montagna sacra dei mongoli, ed ivi sepolto[20].








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[1] Alcune informazioni sono state riportate da storiografi arabi, come Rashid–ud Din, e cinesi, che si rifacevano quasi certamente all’Altan Debter (Il Libro d’Oro), fonte mongola andata poi perduta. La parte principale del libro in questione fu conservata all’interno del testo cinese Shengwu Qincheng Lu, in base alla quale veniva redatta la biografia ufficiale di Gengis Khan al tempo della dinastia Yuan. Cfr. Bussagli M., “Gengis Khan e la potenza mondiale”, cap. IV, in Idem, Petech L., Muccioli M. (a cura di), Asia Centrale e Giappone, Nuova Storia Universale dei Popoli e delle Civiltà, vol. XX, Torino, 1970, pp. 1-234, p. 153.

[2] Ibidem.

[3] Gli Shiwei erano un popolo di antiche origini la cui economia era basata essenzialmente sulla lavorazione di ferro e pellame, che probabilmente giunsero nella Cina nord – orientale alla fine dei Xia, a seguito della conquista Shang dei territori dell’Henan. Il termine Shiwei potrebbe essere la traslitterazione del nome Xianbei, così come Menggu, o “Mongolo” deriva direttamente dal nome che indicava i capi Wuhuan, e significa letteralmente “il guerriero coraggioso che non conosce paura”. Nel linguaggio mongolo il termine shiwei viene tuttora tradotto come “paese di foreste”, e originariamente venne assunto dalle tribù in questione ad indicarne il ruolo di dominatrici della foreste della Mongolia Interna. Cfr. Kessler A.T. (a cura di), Empires Beyond the Great Wall, the Heritage of Gengis Khan, Los Angeles, 1994, pp. 145–146.

[4] Come sottolineato da Kessler è opinione diffusa, tra gli studiosi mongoli, considerare i loro antenati quali discendenti dei Xiongnu, mentre invece gli storici russi hanno avanzato l’ipotesi di una derivazione dal ceppo turco dei Tujue, che durante il periodo Tang si erano distinti tra i popoli dominatori dell’area delle steppe per la fierezza e la ferocia dimostrata. A sostegno di questa ipotesi stanno i molti elementi del linguaggio mongolo che derivano direttamente dal turco, anche se lo studioso cinese Lin Gan (1989) ha evidenziato forti legami linguistici, cronologici, geografici e culturali che ci portano a credere che i Mongoli derivino dalle tribù Shiwei del ceppo degli Hu Orientali. Ivi, p. 145.

[5] I Tatar erano una popolazione di combattenti ferocissimi di origine incerta che entrarono a più riprese in contatto con i Mongoli, a volte come sottomessi ed altre volte in qualità di nemici duri e ostili. Gli autori musulmani ed europei contemporanei che ebbero a trattare con i Mongoli, spesso finivano per identificare questi ultimi con i Tartari loro nemici, proprio in virtù dello sprezzo della vita da essi dimostrato. Nacque a questo proposito l’uso europeo di indicare i Mongoli col nome di Tartari: in un contesto ove il mongolo per il suo stesso aspetto esotico e terrorizzante era di per sé sinonimo di cattiveria e crudeltà, l’utilizzo di un termine quale “tartaro” era senz’altro sbagliato ma nonostante tutto altamente significativo. Gli Onggut erano invece legati al clan dal quale proveniva lo stesso Gengis Khan da una politica di alleanza matrimoniale; come i Tatar, erano in gran parte nestoriani. Le due massime potenze nomadi dell’epoca erano tuttavia i Naiman ed i Kerait: i primi avevano fatti propri molti elementi mongoli pur essendo di origine turca, ed erano famigerati per l’abilità dei guerrieri e la bellezza delle donne; i Kerait, stanziati nella valle dell’Orkhon, erano invece formati da una confederazione di più clan di origine turca riuniti sotto la reggenza di una famiglia principesca, che dominarono per almeno tre generazioni il territorio dell’odierna Mongolia centrale. Cfr. Bussagli M., 1970, op. cit., pp. 153 – 154, e Idem, "La Via dell’Arte tra Oriente e Occidente, due millenni di storia", Art Dossier n. 8, Firenze, 1986, p. 43.

[6] I Merkit erano una popolazione di antica origine, precedentemente alleata del generale Qidan Yelu Tashi. Quest’ultimo si trovava a capo del distaccamento che, a seguito della distruzione del potere Qidan ad opera dei Jin (1114 circa), era riuscito ad allontanarsi verso ovest e a conquistare le città di Kashgar, Khotan e Beshbalik, grazie anche all’aiuto prestato dai mongoli. Battuti i Turchi Seljukidi presso Samarcanda (1141), Yelu Tashi rafforzò ulteriormente la potenza Qidan fino a creare una svolta a carattere religioso decisamente importante: l’irruzione, in un territorio islamizzato, di gruppi prevalentemente buddhisti e nestoriani (tali erano i Qidan), che portò alla creazione del mito occidentale del “Prete Gianni”. Nel 1145 il cronista Ottone di Frisinga ed un vescovo siriano si incontrarono a Viterbo: in questa circostanza il vescovo raccontò la storia di un re – sacerdote, discendente dei Magi e signore di un impero cristiano in Asia centrale, che alcuni anni addietro avrebbe sconfitto i musulmani di Persia dando un considerevole aiuto alla lotta cristiana in Oriente. L’allusione alla vittoria riportata da Yelu Tashi a Samarcanda era del tutto legittima, anche se sull’effettiva cristianità del generale si possono ragionevolmente sollevare alcuni dubbi. In ogni caso il Gurkhan (Signore del Mondo) Yelu Tashi era certamente avverso ai musulmani, e poteva quindi apparire facilmente, agli occhi dei sudditi “barbari” ancora legati ad una forma di religiosità sciamanica, come un re – sacerdote. Dal fatto storico nasce la leggenda: Yelu Tashi divenne il “Prete Gianni”, sovrano di un regno asiatico ricco e prospero, abitato da uomini longevi e felici, governati da una figura carismatica che non aveva esitato a rinunciare al lusso pur di divenire il mediatore diretto tra il suo popolo e Dio. Probabilmente il nome “Gianni” deriva dal termine cinese Wang (Re), attribuito al sovrano Qidan come appellativo più confidenziale rispetto a Gurkhan, e dalla denominazione sempre cinese di Han, corrispettivo del mongolo Khan. L’appellativo Wang – han, “Khan – re”, probabilmente fu poi trasformato in “Gianni “ o “Giovanni”. Cfr. Bussagli M., 1970, op. cit., pp. 143 – 147.

[7] Secondo la leggenda, Gengis Khan al momento della nascita presentava un coagulo di sangue nel palmo della mano, segno di buon auspicio per cui era destinato a divenire un eroe. Considerato diretto discendente del Grande Lupo Azzurro, mitico progenitore della stirpe mongola, aveva inoltre la “macchia caudale”, una chiazza nero – azzurra della zona coccigea caratteristica delle popolazioni mongole, destinata a scomparire con la crescita e considerata simbolo di virtù e potenza. Cfr. Kessler A.T. (a cura di), op. cit., p. 147, e Fiussello N., Romano, M.C., Mongolia, l’eredità di Gengis Khan, Roma, 1997, p. 12.

[8] “Dalla sua persona emanava un fascino particolare, diciamo una specie di magnetismo, molto più vicino al prestigio di un animale che guidi un branco che ad un vero ascendente morale e spirituale sui propri fedeli, ferma restando l’indiscutibile ammirazione di tutti per il suo coraggio. (…) Il carattere di Temujin, anche quando sarà divenuto il padrone del mondo, resterà sempre lo stesso: non si arrenderà mai e non avrà mai il senso dell’impossibile, della sconfitta ormai inevitabile, (…) riuscirà a risolvere situazioni disperate e radunerà intorno a lui un pugno di guerrieri fedelissimi e spregiudicati, ribelli al mondo che li circondava, compagni inseparabili delle sue prime, straordinarie imprese”. Cfr. Bussagli M., 1970, op. cit., pp. 156 – 157.

[9] Quella di Töngril fu una manovra politica davvero abile: abbandonato il titolo di Khan per assumere quello cinese di Wang, più prestigioso e maggiormente consono alla sua corte sinizzata, egli si preoccupò di includere Temujin tra i suoi alleati per godere della potenza conseguita dai Mongoli ed accrescere così anche la propria. Da parte sua Temujin decise di offrire a Töngril una preziosa pelliccia di zibellino, ricevuta in occasione delle nozze, rivelando uno straordinario intuito diplomatico. Ibidem.

[10] Dopo questa impresa Jamuka divenne “fratello di sangue” (anda) di Temujin, attraverso un rito in cui entrambi mescolarono il proprio sangue entro una coppa e ne bevvero il contenuto. Fu questo un atto spontaneo da parte dei due contraenti, i cui rapporti politici ed affettivi sarebbero poi mutati sensibilmente a seguito delle circostanze e delle divergenze caratteriali. Ivi, p. 158.

[11] Alcuni studiosi fanno risalire l’origine di questa titolatura ad un aggettivo traducibile come “forte”, “inflessibile”, “severo”, senza escludere ulteriori riferimenti allo Spirito della Luce adorato dai Mongoli, il quale sarebbe stato scelto per ricambiare il favore che gli sciamani avevano sempre accordato a Temujin. Ivi, p. 159.

[12] In seguito l’asta in questione avrebbe segnalato la presenza di Gengis Khan sul campo di battaglia. Cfr. Fiussello N., Romano M.C., op. cit., p. 13.

[13] La società mongola, per quanto divisa in tribù e clan, presentava al suo interno una strutturazione gerarchica in classi sociali che collaboravano per la comune prosperità. L’aristocrazia guerriera ed i combattenti rappresentavano il vertice della scala sociale, sotto cui stavano i lavoratori meno abbienti e gli schiavi. La vita religiosa era dominata dalla figura dello sciamano, conoscitore della vita magica come di quella politica, e responsabile dell’ordine psicologico delle masse. La nobiltà non era soltanto ereditaria, ma poteva essere acquisita per mezzo delle qualità del singolo individuo il quale, se appariva agli occhi della comunità inadatto o fisicamente e mentalmente tarato, poteva venire allontanato e costretto a vivere ai margini della legalità. Nel processo di designazione del capo supremo, il diritto di voto era limitato ai soli nobili. Cfr. Bussagli M., 1970, op. cit., p. 160.

[14] L’indole di Temujin era sensibilmente differente da quella di Jamuka già al tempo della loro fratellanza: mentre l’uno seguiva sulle montagne le mandrie di cavalli (il cavallo era l’arma da guerra per eccellenza della nobiltà), l’altro si fermava a valle con i pastori e la fanteria. Ivi, p. 161, a proposito dell’osservazione dello studioso Vladimirtsov.

[15] La sorte di Jamuka è tuttora poco chiara: le fonti mongole sono concordi nell’affermare che fu preso e giustiziato per mano dello stesso Gengis Khan (1205), ma lo storico musulmano al Juwaini in una sua cronaca riporta la storia di un certo Gurkhan, già intimo di Gengis Khan, che avrebbe fiancheggiato i musulmani nella disperata difesa di Bukhara (1220) restandone ucciso. Ivi, p. 162.

[16] L’amministrazione era stata affidata ai Turchi per la stima di cui questi godevano, e per il riconoscimento di essere i depositari di una civiltà maggiormente evoluta. La loro esperienza era messa a servizio dell’impostazione mentale mongola, come del resto rivela l’ammonimento rivolto da un consigliere allo stesso Gengis Khan: “Il mondo si può conquistare a cavallo, ma bisogna scenderne per governarlo”. Allusione, questa, alla pratica dell’ “uccisione della terra” messa in atto dalle truppe mongole, che tendeva a sostituire l’economia nomade a quella agricola trasformando in deserto e pascolo il terreno di cui ci si impadroniva. Le capacità di ripresa dei vinti venivano in questo modo drasticamente ridotte, rivelando al contempo l’assoluta mancanza di comprensione, da parte mongola, delle creazioni proprie delle civiltà sedentarie. Ivi, pp. 165, 168.

[17] I Ningxia appartenevano alla stirpe tibetana anche se erano stati fortemente sinizzati. Battuti da Gengis Khan, accettarono di pagare un sostanzioso tributo e di inviare una principessa in sposa presso la corte mongola. Cfr. Kessler A.T., op. cit., p. 148.

[18] I Mongoli si erano trovati per più di un secolo sotto la sovranità nominale dei Jin. Consci dei dissidi interni che avevano cominciato a minare la stabilità della dinastia almeno dalla fine del XII secolo, colsero l’occasione per affrancarsi dalla loro scomoda posizione e per entrare in territorio cinese. Ibidem.

[19] Le fonti riportano a proposito la suggestionante notizia dell’erezione di tre piramidi di teste recise: quella degli uomini, quella delle donne e, ultima, quella dei bambini. Sembra che i soldati mongoli infierissero addirittura su cani e gatti. Cfr. Bussagli M., 1970, op. cit., p. 170.

[20] Il cadavere, scortato da mille cavalieri parati a lutto, venne portato su monti Kentei presso il suo luogo di nascita. Suo figlio Ögödei (1229 – 1242) “fece sacrificare le quaranta donne più belle dell’impero, immensi tesori, centinaia di cavalli e la scorta ebbe l’ordine di non lasciare alcuna traccia di vita, umana o animale, sul percorso compiuto dal feretro. Il pianto per la morte del capo doveva essere atrocemente universale”. Ivi, p. 171.




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(27/10/2009)
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(30/10/2009)
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(31/10/2009)
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venerdì 24 aprile 2009

Dynasty Puoti von Castrum Komne Komneno Paleologo


Dinastia Puoti

Khan , Visir , Principi -Despoti di Bisanzio
Poto o Puoti
Genealogia di Tommaso Paleologo Comneno di Castrum Komne o Poti ,discendente dei Comneno Paleologo Angelos Ducas , linea di Flavio Isacco Comneno , pronipote di Poto , figlio di Adelchi che a Costantinopoli muto' nome in Flavius Gaius Potior Teodatis di Castrum Poti o Castrum Komne da cui Comneno-
(Primogenitura maschile )
Vassili Manuel Andrea Poto Despota e Khan di Castrum Komne -Comneno Paleologo , nipote di Tommaso Paleologo Despota di Morea-Ambasciatore di Mehmet a Venezia e ad Amalfi - 1479-1533 sposa Pulcheria d'Aragona
Giovanni Maria Ivan Poto Seniore o Jeronte Paleologo 1504 -1582 sposa 1)Elena Ventimiglia Lascaris
sposa 2)Elena Comneno Angelo Ducas
Tommaso Emanuele 1532-1598 sposa Sibilla d'Avalos Aragona
Andrea Ruggero 1563-1620-sposa Sofia Dolgoruky
Giovanni Maria 1592-1668-sposa Charlotte D'Angoulemme
Tommaso Poto 1638-1712-sposa Lucrezia Carafa Caracciolo
Carlo Maria Poto 1668-1772-sposa Ginevra Pignatelli d'Aragona
Basilio Giovanni Maria Tommaso 1701-1790 sposa Sofia Putiatina
Giovanni Maria 1730-1812-sposa Isabella Colonna di Stigliano
Vassili (Basilio)Gian Maria Giuseppe 1759 -1830-sposa Elisabetta Pallavicini
Emanuele Giovanni 1786-1858 Luise de Bourbon
Tommaso Giuseppe 1810-1854 Charlotte von Hannover
Giovanni Maria Puoti 1838-1869-sposa Eleonora Caracciolo Orsini
Giuseppe Basilio Giovanni -sposa Angela Maria Isabella Costanza -Colonna Conte Caetani
Giovanna Puoti -sposa Vincent Avril de Burey Anjou Hohenstaufen Plantagenet(italianizzato nel 1873)
Giuseppe Aprile von Hohenstaufen Puoti -sposa Filli Allegro d' Alegre de Hochstaden de Hostade de Bourbon Tourzel
Figlie:
GIOVANNA sposa Roberto Maria Macedonio principe duca di Grottolella -Marchese di Ruggiano -
ROSEMARIE sposa 1) E. Alaric Veruli Saxe Coburgo Gotha -principe di Tessaloniki -2)Vincenzo Maria Macedonio duca di Grottolella , principe di Costantinopoli , marchese di Ruggiano , barone di Poligori.
Yasmin - vedova Frederich Ernest von Hohenzollern principe di Turingia
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Puoti Dynasty
Princes Puoti von Castrum Poto Canmore Comneno of Castrum Komne Paleologue